martedì 6 gennaio 2015

Prima e dopo il ponte sul Rio Nero

Ad Aldein/Aldino il tempo si misura dalla costruzione del ponte. C'è un prima e un dopo, e dopo tutto è cambiato molto in fretta.
L'attuale strada per Aldino venne aperta solo nel 1958. Poi, una volta costruito anche l'ardito ponte ad arco che scavalca il Rio Nero, venne asfaltata e migliorata, ma per una decina d'anni rimase bianca, stretta e ripida tanto che per la discesa al paesino di Olmi (24% di pendenza, d'inverno si montavano le catene per evitare di finire nel torrente) si ricorse ad una piccola corriera 4x4 su telaio Fiat-OM che venne (penso) realizzata ad hoc carrozzando un camioncino della classe Leoncino. Fino al 1970 l'aspetto era quello di questa foto (scattata nel 1914) .
Zoom sul paese dalla vetta del Weisshorn/Corno Bianco. In bianco e nero la sua
estensione prima che venisse costruito il ponte. La nuova strada ha figliato una
colata di edifici senza costrutto.
Prima dell'apertura della strada, ad Aldino ci si arrivava solo a piedi, risalendo la mulattiera (1000 metri di dislivello) che partiva da Bronzolo, in Val d'Adige. L'isolamento era com-pletato dall'assenza di collegamento con Monte San Pietro e Nova Ponente. Perfino Redagno (che pure era una frazione del Comune di Aldino) era collegato solo via mulattiera.
Il sindaco (al centro e nel riquadro), il segretario comunale, il prete e i carabinieri
con i contadini interessati dal passaggio della nuova strada.
Prima della costruzione del ponte, la nuova strada di Olmi aveva portato qualche
sporadica automobile. Con gli anni Settanta fu chiaro che dietro le auto si era
però infilata la speculazione edilizia: in breve arrivarono il cemento, il mattone,
il turista, i finanziamenti pubblici e il delirio edilizio. Nella foto: l'antica locanda
Stern prima e dopo la cura.
Il paese, antico e minuscolo, era tutto raccolto sul cucuzzolo erboso che sbucava dai boschi sull'altopiano boscoso tra il Corno Bianco e la Bassa Atesina. Una collinetta completata dal profilo della chiesa, d'origine medioevale, che svettava alta sulle croci in ferro battuto del cimitero e che nei giorni sereni era visibile fin dalla periferia di Merano.
Il posto era isolato almeno quanto il Santuario di Pietralba, entrambi si raggiungevano a piedi e tra i due non esisteva nemmeno una strada forestale. Solo mulattiere. Ma essendo il baricentro dell'altipiano, era uno snodo importante, vitale punto di riferimento per i masi che punteggiavano l'altopiano.
Nella manciata di case si contavano ben tre alberghi perchè chi saliva sin lì per motivi di affari o altro, non poteva certo tornare a valle in giornata.
Il più antico, quello della Rosele, era il riferimento per i contadini che la domenica, scesi dai masi per la messa delle undici, si trattenevano poi fino a sera per trattare gli affari e mangiare nelle due Stube a piano terra e per bere e giocare ai birilli sotto la tettoia di legno.
Mogli e figliolanza, fatta qualche spesa nel negozio in piazza, risalivano in fretta al maso, gli uomini si fermavano e bevevano quantità industriali di una

Schiava pallida e acidula. In cucina dominava la vecchia Rosele, che sfornava canederli dalla sua Rauchküche piantata direttamente sulla roccia, cinque o sei gradini sotto il livello del bar.
Da quell'antro nero e affumicato uscivano a getto continuo i piatti che contrappuntavano il basso continuo delle bevute, veramente omeriche.
Il vecchio Gasthof ribolliva di vita, si facevano affari, si sentivano storie, si intrecciavano incontri, e poi la politica: il nuovo ponte, soprattutto. I più benestanti, socchiudendo gli occhi, si raffiguravano il profilo del Maggiolino e i giovani pensavano alla città, ai cinema e alle canzoni italiane...
Oltre alla canonica, c'erano un negozio di alimentari e generi coloniali che vendeva di tutto, dallo zucchero allo spillone da balia, la sede del municipio, dell'ufficio postale e dei vigili del fuoco, la scuola elementare con la sua pluriclasse e anche un enorme tiglio al centro della piazza, con la sua brava panca circolare. Più tardi si aggiunse la caserma dei carabinieri con la cella di sicurezza situata sotto terra e chiusa da una botola. Il piccolo centro era completato dal ricovero per anziani.
La corriera andava e veniva da Bolzano tre volte al giorno, il sindaco fabbricava cassette da frutta in legno di abete.
Ma i suoi successori si sono dati molto da fare per smontare pezzo a pezzo l'identità del paese. Prima l'hanno circondato con un anello di asfalto e nuove costruzioni, poi hanno aggredito la collinetta con due due strade larghe dieci metri, hanno abbattuto il tiglio secolare con la panca rotonda, smontato, rimontato e moltiplicato per tre tutti gli uffici pubblici e abbattuta la tettoia del gioco delle bocce.
Si sono sbocconcellati l'anima e sono rimasti col torsolo in mano. Hanno fatto letteralmente piazza pulita della loro paese. Oggi la domenica mattina la piazza è desolatamente vuota, silenziosa, linda e tirata a lucido ma anonima come un depliant pubblicitario. Il vuoto è pneumatico, sconcertante come la babele degli stili delle conigliere tirate su in fretta attorno al paese.

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