lunedì 15 febbraio 2010

Settantasette nato dal fracasso

Il lungo '68 italiano terminò il 21 giugno 1976 quando si seppero i risultati delle elezioni. Una vera doccia fredda per i gruppi della nuova sinistra: il misero 1,51% diceva più di cento analisi politiche. E così per l'orda d'oro sessantottina cominciò la diaspora.
Le sensibili antenne di Lotta Continua captarono per prime l'onda sismica, e dopo soli quattro mesi, al congresso di Rimini, andò in scena l'autodafè: le femministe "spararono" sul gruppo dirigente, LC implose e si sciolse. I gruppi più strutturati, come Avanguardia Operaia, tirarono dritto, ma era chiaro che il movimento nato con la contestazione studentesca e l'autunno caldo non esisteva più.
Il '77 bolognese fotografò il volto di quella crisi e mise a fuoco il profilo dei nuovi attori che avevano preso il posto della classe operaia e del sindacato: i famosi nuovi soggetti sociali erano un mix variegato di tribù metropolitane che avevano sostituito la Camera del Lavoro con i Centri Sociali Occupati, l'Unità con le radio libere, la militanza con la creatività, Bandiera Rossa con la musica ribelle, gli operai con il proletariato giovanile,  l'UDI con i gruppi di autocoscienza, lo sciopero con l'happening, i giornali murali con lo spray. Creativo e frenetico, febbricitante e paranoico, il movimento era tenuto assieme dal collante dell'anticomunismo e del soggettivismo, che durò lo spazio di un mattino e che sfociò rapidamente in un generalizzato riflusso nel privato del tipo "io sono l'ombelico del mondo".
Ma - in cauda venenum - non tutti rifluirono nel privato; già da tempo nei cortei colorati e "creativi" le spranghe dei servizi d'ordine erano state sostituite dalle P38 degli Autonomi. Soprattutto dopo gli scontri di Bologna e le provocazioni poliziesche del ministro Cossiga in molti si fece strada l'idea che non esistevano alternative allo scontro armato. Il raduno di Bologna dell'autunno '77 sancì questo culto della violenza e fu la pietra tombale del movimento.

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